domenica 27 aprile 2008

BOUGUEREAU3


Adolphe William Bouguereau, Le ninfe e il satiro, olio su tela, 1873, 260 x 180 cm, Sterling and Francine Clark Art Institute, Williamstown, Massachusetts


Marangoni docet:

LA «DEFORMAZIONE»
«Tutto quello che non è leggermente deforme è qualcosa di insensibile... l'irregolarità è il segno caratteristico della bellezza.»
(BAUDELAIRE)

Deformazione (con rispetto parlando), disgraziato vocabolo, scandalo di tutti i benpensanti, eppure così innocente incolpevole cosa! Voce, se non altro, infelice, perché si presta a equivoco, richiamando subito alla mente il significato usuale di deforme e, storicamente, il vistoso, ostentato deformismo di troppi sedicenti artisti dei nostri giorni.
Ma soprattutto la voce «deformazione» è infelice perché tradisce l’esistenza latente del preconcetto della verosimiglianza, in quanto ne è quasi un riconoscimento implicito. Deformazione vorrebbe, infatti, significare come un allontanamento da una forma modello prestabilita; e quale sarebbe questa forma modello se non la natura? Ma sappiamo oramai che l’arte non è imitazione della natura, e bisognerà quindi concludere, anche a rischio di scandalizzare tanta gente ammodo, che l’arte è sempre deformazione o — se più vi piace — astrazione formale, lirismo, stile.
[...] nessuno potrà mai dirci dove finisca la giusta deformazione e dove incominci il falso deformismo, se non affidandosi, come sempre, alla propria esperienza e sensibilità critica.
Ne consegue che è assurdo e anche inopportuno dettar leggi a priori e gridare allo scandalo, contro la libertà dell'artista. Non è l’arte che deve seguire la teoria, ma questa quella. Tutte le iniziative rivoluzionarie teoriche sono state per l'arte sterili: Vasari-Accadcmia, Carracci-Eclettismo, Winckelmann-Neoclassicismo, Ruskin-Preraffaellisrno. E l'Ojetti avrebbe voluto lanciare un nuovo ennesimo neo-classicismo, anzi una nuova accademia per l'ennesima volta!
Dal momento che anche l'arte — come tutte le cose di questo mondo — si giudica dai risultati, le vie per giungervi saranno tutte egualmente legittime e genuine quando portino, in un modo o nell'altro, alla vera arte; ed è quindi assurdo distinguere e canonizzare a priori su la deformazione più o meno... deforme […].
Persino della gente spregiudicata e fine non si salva da questo tranello quando scrive che «la storia della deformazione corre, più o meno, nella scia della storia del Cristianesimo» (Tinti); come se Fidia stesso o Prassitele non fossero anch’essi dei... deformatori, certo meno vistosi degli scultori prefidiaci o costantiniani, ma altrettanto, anzi ancor più profondi, sottili, intimi deformatori della natura, rispetto ad essi, come Raffaello lo è rispetto ad un trecentista o ad un barocco.
Questo pregiudizio deriva, secondo me, dal solito errore di considerare gli elementi del linguaggio dell’arte come simboli dell’animo dell’artista e non come il suo animo stesso concretato in quelle forme. Così rettamente valutati, invece, tutti i linguaggi sono legittimi e genuini, e quindi non confrontabili tra di loro né, tanto meno, gerarchicamente classificabili secondo una maggiore o minore deformazione! Altrimenti si ricadrebbe, larvatamente, nell'eterno equivoco di prendere a confronto la natura. Perciò, come vedremo, non si dovrà neppur dire che una Madonna, puta caso, di Grünewald — uno dei più vistosi deformatori — sia più deformata di una Madonna del suo contemporaneo Raffaello […].
Bisogna dunque riconoscere che tra classico e anticlassico — dal punto di vista della deformazione — è questione soltanto, diciamo, di quantità; e che sono quindi, se non altro, inutili le iniziative e gli ammonimenti di certi artisti e critici reazionari contro le deformazioni in genere e in favore della «correttezza » (!) classica.
Perché se le sciocchezze di certi novecentisti sono più... macroscopiche, le altre dei novelli neoclassici reazionari, per quanto meno vistose, sono lo stesso, se non più, condannabili perché altrettanto calcolate ma, oltre questo, persino... meno divertenti.
In tutta l’arte figurativa ci fu un solo momento che fece eccezione e che dette dei prodotti in cui non si vede traccia di deformazione: momento che è, per l'appunto, uno dei più tristi della storia dell’arte: il periodo verista della seconda metà del secolo XIX; quello a cui appartennero un Meissonier, un Géróme, un Bouguereau e da noi un Barabino, un Ussi, un Maccari e tanti altri. L’ideale di questi pittori fu, appunto, quello di copiare la natura supinamente, con la convinzione che il vero naturale fosse quello stesso dell’arte; senza, naturalmente, riuscire a raggiungere neppure questo loro mediocre ideale. Perché « verità, in arte, è quella il cui contrario può essere ugualmente vero » (Oscar Wilde).

(Matteo Marangoni, Saper vedere, 1947, Milano, Garzanti, XVIII ed., 1960. pp. 61-64)

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