giovedì 5 marzo 2009

MODERNO5


Felice casorati, Donna seduta con chitarra, 1938

«Arrivai a Torino in una mattina di autunno inoltrato. Una leggera, fredda, luminosa nebbiolina avvolgeva senza oscurarla – anzi illuminandola di una vivida luce d’argento – tutta la città. Essa mi apparve calma, regolare, tranquilla e silenziosa. Tutti i rumori erano attutiti come se le sirene suonassero lontano lontano, le campane delle chiese fossero ovattate, le carrozze (allora ve ne erano ancora molte) avessero le ruote felpate, e sopra tutte le voci fosse messa la sordina, per addolcirle. E questa Torino mi conquistò d’improvviso. Sentii che soltanto in questa città, non catalogata tra le meraviglie che i turisti sono obbligati a visitare, in questa città dalle mansuete colline, dal fiume che sembra rallentare il suo corso per non turbare la calma di tutte le cose, in questa città ordinata, geometrica e misurata come un teorema, enigmatica e inquietante come una cabala, astratta come una scacchiera, avrei potuto (logoro e frusto com’ero pei molti travagli) riprendere la mia vita di pittore. A Torino che ha potuto e saputo mantenere attraverso tanti secoli la sua austera, semplice struttura di città romana, ove i ricordi storici non sono ingombranti, non sono invadenti, ove dei movimenti d’avanguardia (parlo soprattutto dei movimenti artistici) in tutti i tempi sono giunti soltanto ed in ritardo pochi elementi e sia pure i più essenziali, i più duraturi. A Torino ho potuto trovare la mia casa. Nella mia casa, in un severo palazzo di stile nettamente umbertino, in fondo ad un cortile, silenziosa e un po’ triste, sono nati tutti i miei quadri. Gli echi delle polemiche, dei convulsi moti rivoluzionari artistici irradiati dalla “ville lumière” e che avevano in molte città italiane i loro corifei scaldati ed autorevoli, giungevano stanchi a Torino, ma svanivano si smorzavano addirittura contro le grigie pareti del mio studio.
Provincialismo! Sì, questa parola e stata detta e ripetuta dai “critici attitrès” sulla mia pittura. Non mi sono mai sentito offendere dalla taccia di provinciale; non sono mai stato assalito dalla febbre di sentirmi inquadrato, di sentirmi partecipe di un movimento di attualità, non ho mai sofferto per la rivalità trionfante degli artisti perfettamente aggiornati. Penso con orgoglio che più di un pittore (anche fra gli eccelsi), dimentico e schivo delle aspirazioni dei più, anzi deludendo i più, chiuso gelosamente nel suo mondo, cercando e trovando soltanto sè stesso non ha tradito ma servito fedelmente la pittura.»

(Felice Casorati, Scritti interviste lettere, a cura di Elena Pontiggia, Abscondita, Milano, 2004, pp. 83-84)