lunedì 5 maggio 2008

REALISMO RETROGRADO?


Dino Valls, Antìfona-Antiphone, olio su tavola, 84 x 70 cm, 1994

«La scena dell'arte contemporanea ha nondimeno anche testimoniato, in molte parti del mondo, un potente ritorno ad atteggiamenti conservatori, espressi sia attraverso l'uso di tecniche tradizionali, sia col ritorno ad immagini parimenti tradizionali. [...]
Per un certo numero di critici, il riconoscimento di questa tendenza apparentemente conservatrice implicherebbe l'abbandono del lungamente amato concetto di avanguardia - come qualcosa che esiste in perpetua opposizione a qualsiasi cosa possa  cercare di soffocare la sperimentazione creativa. Questo mi sembra porre la questione nel modo sbagliato. Al principio del nuovo secolo una delle cose che dobbiamo chiederci è se le pose ribelli del secolo passato non siano in effetti diventate le ortodossie che ora impediscono il progresso. In anni recenti, una cosa che ho udito troppo spesso è il lamento “Ma quella non è avanguardia!”. Ciò che implica l'esistenza di vero avanguardismo è una totale fluidità di reazione e metodi di giudizio e misura costantemente mutevoli.»

(Edward Lucie-Smith, Art Tomorrow, Finest SA/Editions Pierre Terrail, 2002)

BALTHUS


Balthus, Girl on a bed, Philadelphia Museum of Art


«“Ma è figurativo!” esclamava, delusa, la maggior parte dei visitatori il giorno del vernissage della prima mostra di Balthus, nel 1934, alla galleria Pierre a Parigi. In un periodo in cui non si vedeva altro che Surrealismo e Astrazione, il voler “reincarnare la pittura”, secondo l’espressione di Pierre Jean Jouve, rendeva il giovane pittore ventiseienne un emarginato, un artista contro corrente. […]
Del periodo tra le due guerre, tendiamo spesso a ricordare solo l’avanguardia. Ciò significa dimenticare che quell’epoca vide fiorire ovunque un nazionalismo esacerbato, che trovava espressione nel realismo monumentale al servizio del governo. La reazione fu di portata mondiale. Tutti si credevano eredi della tradizione e non fautori della sua liquidazione. Da Hopper negli Stati Uniti a Diego Rivera in Messico, in Europa non si cercavano più le lezioni degli Impressionisti o di Cézanne, ma quelle di Manet e di Courbet. Non erano le avanguardie a interessarli, ma la pittura del Quattrocento, e in particolare Piero della Francesca. In Italia i “Valori Plastici” avevano reagito all’iconoclastia futurista, così come in Germania un Dix o uno Schad, in rotta contro l’Espressionismo, si erano rivolti a quelli che chiamavano i maestri di una volta, da Dürer a Holbein. In Francia, con il “ritorno all’ordine”, formula coniata da Derain e da Lhote, espressioni come “realtà contemporanea” si diffondevano pian piano, acquistando una connotazione negativa, quella di essere contro l’avanguardia, e quindi reazionarie. Paul Valéry, definendosi il “Bossuet della III Repubblica”, esaltava questo “ritorno all’ordine”, nel Catalogo della mostra rivelazione “L’arte italiana da Cimabue a Tiepolo”, voluta da Mussolini a Parigi nel 1935. Era stata imboccata la strada pericolosa che avrebbe presto condotto alla minacciosa espressione del führer: “Ci sono ancora pittori che vedono le cose diverse da come sono”. […] La deviazione del “realismo”, a servizio dei “Cesari”, prendeva piede provocando, dopo la Seconda Guerra mondiale, un ritorno alle avanguardie, sinonimo di resistenza alle barbarie, che avrebbe di nuovo gettato l’obbrobrio sul figurativo. […]
Ciò mostra quanto violento fosse l’ostracismo nei confronti della raffigurazione e quanto lo sarebbe stato anche in seguito. […] A Balthus l’amico Giacometti, scampato a un altro tipo di autorità magistrale, quella di André Breton, poteva dichiarare, nel 1934: “… il giorno in cui mi sono ritrovato sulla strada, deciso di nuovo a dare una riproduzione fedele delle figure umane come un debuttante della Grande-Chaumière, mi sono sentito felice e libero…” Ai critici che l’accusavano di realismo retrogrado, Balthus rispondeva: “Il reale non è ciò che credete di vedere. Si può essere realisti dell’irreale e figurativi dell’invisibile.” Segnato dall’ossessione di temi erotici profondi, sorrideva irriverente: “Io faccio del Surrealismo alla Courbet!”»

(Gilles Néret,
Balthus, Taschen, 2004, p. 7 e pp. 27-28)

DE GUSTIBUS...


Jean-Louis Ernest Meissonier (1815-1891), Coup De Vent, olio su tavola, 19,2x26,6 cm

Tanto è sublime la
Bagnante di Bouguereau, quanto sono leziose le sue Ninfe. La gran parte dei pittori accademici del XIX, compreso Francesco Hayez, non si salvarono da questa condanna al cattivo gusto. Ma cos'è il gusto, e chi ne detta le leggi? Ancora il Marangoni, contraddicendosi, ci illumina:

Addirittura impagabile è il feroce, esilarante giudizio di Degas sulla pittura di Meissonier: « C’est tout en acier, sauf les cuirasses qui sont en carton! », d’altra parte, addirittura sbalorditivo l’altro di Van Gogh il quale — dio glielo perdoni! — diceva di stimare il Meissonier come un maestro « qu’on ne peut dépasser ». Tanto possono essere gli artisti privi di senso critico!

(Matteo Marangoni, Saper vedere, 1947, Milano, Garzanti, XVIII ed., 1960. p. 65)