Pietro Annigoni, Autoritratto, 1946, tempera grassa su tela, cm 45 x 35,5
"Un ritratto somigliante, un ritratto che senza retorica riveli un carattere: dove se ne incontrano più? Vecchio problema e vecchio gioco, lo so, questo della somiglianza, tanto che due ritratti somiglianti a un originale possono non assomigliarsi tra loro. Il fatto è che a tanta verità l'Annigoni arriva con una sicurezza che non è bravura, ma un attento, lento e quasi flemmatico osservare: lentezza e attenzione, che sono fuori della moda corrente, la quale vorrebbe spregiare la realtà e richiamarla solo per allusione. Non dico che riuscire a creare di fantasia il vero non sia il proprio di pittori giunti, dopo un lungo studio della natura, all'altezza d'un Veronese, d'un Tintoretto d'un Tiepolo; ma i metodi dei geni sono adatti solo ai geni; e il male della pittura oggi è proprio la mancanza d'umiltà davanti all'arte, è che anche gl'ignoranti ragionano e, alla meglio, dipingono come se fossero tutti geni, così che riescono lodevoli non le opere loro, ma le loro belle intenzioni: che alla fine è un po' poco, e spesso assomiglia al niente. Qui, coi ritratti dell'Annigoni, s'è al polo opposto: cioè un meticoloso e sodo operare, con umiltà e probità, senza svaghi o girandole di programmi [...]. D'esser fuor di moda, l'Annigoni non si duole e non si vanta: e non se ne duole, ho veduto, nemmeno il pubblico. È un uomo felice nel suo lavoro perché, appoggiato così al vero, si sente sicuro come il fedele nel tempio del suo dio, protetto contro ogni vento e burrasca..."
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