sabato 22 novembre 2008
ANNIGONI
Pietro Annigoni (1910-1988), La Bella Italiana, tempera grassa su tavola, 1951
«Si è creata una ben strana situazione oggi nel campo dell’arte [...] Può darsi che questa volta il bisogno di rinnovamento, che mai vien meno nell’uomo, ci abbia giocato un brutto tiro, spingendo alcuni audacemente spogliati d’ogni bagaglio, in generose avventure verso l’ignoto, forse più per reazione disperata alla monotona opera dei molti che riducevano a schemi vacui e qualche volta ignobili le conquiste dei grandi maestri, che per illuminata fede nella loro nuova affermazione.
Si sono spinti, costoro, verso l’ignoto, coinvolgendo nello sdegno verità e contraffazione e trascurando anche quei mezzi necessari all’esistenza e allo sviluppo dei loro tentativi.
Per quanto mi riguarda, le uniche novità che mi stanno a cuore e che mi spingono a fare, sono le mie gioie, i miei dolori, le mie emozioni e i miei entusiasmi nella vita come mi è stata concessa, in quel mondo che è il mio. Né so se sia novità seguir decisamente il proprio istinto e, innanzitutto, disegnare e disegnare, agognando di giungere a costruire con schietto carattere le parti e logica armoniosa l’insieme.
Con questo scopo, nella fede di riconquistare qualcosa dell’antica meravigliosa esperienza, di quel mestiere che, purtroppo, è andato perduto, ho lavorato sodo e senza transazioni fino ad oggi, in una solitudine che a troppi giovani fa spavento. Ma tanto più sarò padrone di que’ mezzi concreti che certa infatuazione poetica depreca, tanto più chiaramente esprimerò il mondo lirico che vive in me e del quale non dubito.
Aggiungerò a tal proposito che non posso fare a meno di sorridere quando certuni mi rimproverano o mi concedono troppa abilità: non sanno o non vogliono capire che ho bisogno di una ben maggiore abilità; e intendo proprio abilità di mano e di occhio, che se poi ha da essere diversamente intesa, quei tali, evidentemente, non si accorgono che le loro pennellate alla moda sono ben altrimenti abili che le mie. Per il racconto umano che io voglio fare rinunzierò dunque alle paroline preziose e adotterò un linguaggio comune che sia inteso dai più, ma non per questo, penso, lambiccato e manchevole.
Così posso concludere, che a parole ho detto troppo. Quello che più conta mi auguro di poterlo dire chiaramente e, il più chiaramente possibile, con la matita e col pennello.»
(Pietro Annigoni, in Annigoni, Gonnelli, Firenze, 1945)
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